Teatro Coccia -              Novara
                  "LA PAURA"
                  Prima esecuzione              assoluta              dell'Opera 
                  tratta dal racconto              omonimo di              Federico De Roberto.
                  Musica di Orazio              Sciortino
                  libretto di Alberto              Mattioli              e Orazio Sciortino 
                  regia di Simona              Marchini.
                  Personaggi e interpreti:
tenente Alfani - tenore Blagoj Nacoski
sergente Borga (lombardo) baritono - Tiziano Castro
        tenente Alfani - tenore Blagoj Nacoski
sergente Borga (lombardo) baritono - Tiziano Castro
          caporale (campano) basso - Daniele                Cusari
                  soldato Ricci (marchigiano) tenore            - Vladimir                Reutov.
                          Orazio                Sciortino direttore
regia di Simona Marchini
scene Giuseppe Salvatori
        regia di Simona Marchini
scene Giuseppe Salvatori
          Il Teatro Coccia di Novara            prosegue nel            suo percorso di apertura verso i compositori e le opere            contemporanei. Dopo La gatta bianca di Sandra Conte            nel 2013            e Il canto dell'amore trionfante di            Paolo Coletta nel 2014, sul prestigioso palco novarese sarà            allestita e            prodotta una nuova opera contemporanea, scritta e diretta dal            giovane            compositore Orazio Sciortino e            intitolata La Paura, dal racconto omonimo di Federico              De Roberto, con libretto di Alberto Mattioli e              Orazio Sciortino, per la regia di Simona Marchini,            signora del teatro            italiano, grande esperta di opera lirica e con all'attivo            numerose regie.            Cogliendo anche l'occasione delle celebrazioni per il            centenario dell'inizio            della Prima Guerra Mondiale, giovedì 3 dicembre              2015 alle 20.30, andrà in scena sul palco del Teatro              Coccia di Novara un titolo che            racconta la vita di un "ordinario giorno da soldati". 
                  L'Orchestra è quella dei Talenti              Musicali, orchestra composta da            musicisti che grazie a Fondazione CRT            si sono perfezionati nelle migliori accademie europee. Nello            specifico l'organico strumentale è composto da un            flauto, un oboe, un clarinetto, un fagotto, un corno, un            tromba, un trombone, due            percussionisti, pianoforte e quintetto d'archi. 
                  Personaggi            e interpreti: il tenente Alfani è interpretato dal tenore Blagoj              Nacoski, il sergente Borga (lombardo) è il baritono Tiziano              Castro, il caporale (campano)            il basso Daniele Cusari, il soldato            Ricci (marchigiano) il tenore Vladimir              Reutov. 
                  Il progetto            ha, poi, un ulteriore valore: le comparse              recitanti e il coro dei soldati saranno interpretati            dagli allievi del II e III anno del Corso Attori della STM            (Scuola del Teatro Musicale) di Novara, diretta da Marco              Iacomelli e Andrea Manara. Un tocco di "novaresità" in            più            che caratterizzerà ulteriormente l'opera. 
                  La                Paura è inserita nel programma ufficiale            delle Commemorazioni del Centenario            della prima Guerra Mondiale a cura della Struttura di Missione            per gli            anniversari di interesse nazionale della Presidenza del            Consiglio dei Ministri.            
                  I biglietti sono              acquistabili              presso la biglietteria del Teatro Coccia (Via Rosselli, 47 a              Novara) da martedì              a sabato dalle 10.30 alle 18.30 e on line sul sito www.fondazioneteatrococcia.it              7              giorni su 7, 24 ore su 24. 
                  Biglietti dai 15,00              ai 30,00              euro. 
                  LA STORIA
                  La vicenda            si svolge in poche ore, in una trincea italiana              sul confine austriaco              durante la Prima Guerra Mondiale. I nemici austriaci non            danno segni di            vita: invisibili e distanti appena cinquecento metri, sembrano            concedere una            sorta di tregua. Una tranquillità che rende spettrale la            natura, inospitali i            paesaggi di montagna e, in quel silenzio, il cuore trema. Un            improvviso            bombardamento da parte austriaca rompe la tregua, un soldato            italiano è            abbattuto mentre cerca di raggiungere il posto di vedetta. Il            tenente Alfani,            protagonista dell'intero racconto, si trova costretto a            mandare continuamente            uomini per difendere il posto di vedetta. Ogni soldato,            chiamato a coprire il            turno stabilito, sa di essere destinato a morire, manifestando            la propria            angoscia, ognuno con il proprio dialetto, nel breve colloquio            con il tenente.            Alfani si fa carico del terrore di ciascuno dei suoi soldati            ed è combattuto            fra il dovere, sentito e forte, di obbedire ai comandi e la            consapevolezza            dell'assurdità della morte. Così l'intera opera è scandita dai            "ta-pum"            dell'invisibile cecchino austriaco e dall'inevitabile            susseguirsi di caduti.            L'ultimo dei chiamati, il soldato Morana, il più coraggioso e            decorato di            tutti, unico del plotone a parlare italiano, si rifiuta di            andare. E, dopo un            confronto tragico col tenente, compie il gesto che chiude            l'opera: si uccide            per paura di essere ucciso.
                  Il percorso doloroso              della              memoria dovrebbe costituire un fondamento di consapevolezza              della storia, della              vita di un popolo, nel tentativo di stabilire un monito,              nella volontà di non              ripetere orrori e stragi. Frustrante è invece la              constatazione del tragico              divario tra il facile accesso allo studio del passato e              un'umanità sempre più              cieca nei confronti del dolore che si rinnova e sorda al              grido di quelle anime              scolpite nei memoriali, nelle piazze, nel nostro tempo.  La              tecnica istruisce ma non insegna, perché a              mancare sono le lacrime, gocce di tempo di quegli occhi vivi              a cui non abbiamo              teso le orecchie quando avremmo dovuto. I nonni non possono              più raccontare il              sangue delle trincee, e noi non possiamo più ascoltare la              voce rauca di              un'Italia, dell'Ultima Italia, che si è compiuta. I nonni              non possono più              raccontare quanti dialetti le acque dell'Isonzo o le rocce              del Carso udirono, e              quanto eroismo vide giovani corpi sfilare sotto i tiri              micidiali degli              austriaci. I nonni non possono più raccontare che i nomi che              oggi sono vie e              piazze d'Italia un tempo erano luoghi della lacerazione,              della passione              spezzata, della speranza di un futuro migliore. Così la              Grande Guerra è              diventata la grande guerra della poesia e dei racconti, di              Gadda, De Roberto,              Rebora, la cui memoria non conosce gli opportunismi del              mercato mediatico ed è              destinata a sopravvivere nel cuore di chi crede nel potere              della bellezza e              della storia. Orazio Sciortino
                  LA STRUTTURA              DELL'OPERA
                  L'opera, in            un atto unico, è pensata come un'unica              arcata formale suddivisa in sezioni            caratterizzate dallo scambio di battute            tra il soldato chiamato al turno e il              tenente Alfani. Nel succedersi di queste sezioni, o            scene, a cambiare non è            lo scenario ma il contesto timbrico che delinea un nuovo            personaggio, una            diversa percezione del destino, della paura. Il tenente            Alfani, il caporale, il            sergente e il soldato Ricci nel suo breve intervento sono gli            unici a            utilizzare diverse tipologie di vocalità. Ogni soldato invece,            nel breve            dialogo col tenente, pronuncia pochissime frasi, spesso poche            parole, in una            sorta di recitato con una libera inflessione vocale. A            caratterizzare lo stato            d'animo e il profilo psicologico dei singoli "condannati"            contribuisce la            scrittura strumentale che sostituisce il lirismo non            pronunciato dei militari.            I silenzi di quest'ultimi, in contrappunto con gli strumenti,            rappresentano la            voce di coscienza, l'umana consapevolezza del confronto con            l'inevitabile            destino a cui vanno incontro. 
                  NOTE DI REGIA
                  Quando Orazio              Sciortino mi ha              chiamato per condividere un'esperienza così singolare, per              un attimo ho avuto              il sano timore di un salto nel vuoto. Poi, la stima per lui              e la qualità della              proposta mi hanno convinta ad accettare la "sfida". Sì,              perché nel nostro              lavoro in generale ogni volta ci si mette alla prova e si              rischia… senza              mediazione: siamo noi da un parte e il pubblico dall'altra.              E in mezzo, il              giudizio. 
                  Bene, una volta              entrata              "dentro" la scena, ho immaginato come rendere, senza              retoriche o didascalie              troppo ovvie, quella sintesi sublime che Federico De Roberto              era riuscito a              dare dello sgomento, del disorientamento, dell'attesa              alienante della morta.              Tutto questo in un contesto feroce e estraneo ai più, sia              nelle motivazioni,              sia nella prassi. 
                  Creature giovani e              giovanissime, vittime inconsapevoli di qualcosa che, come              sempre nella storia              degli umili, decide e passa sopra le loro teste, le loro              vite, le loro piccole              realtà. In una parola l'orrendo, ingiusto, eterno gioco              della guerra, diletto              mostruoso di interessi e potere sempre riproposto. Mutevole              negli attori, ma              uguale nei contenuti. 
                  E' con infinita              tenerezza che              mi sono avvicinata al testo, avendo sempre in mente il              monumento che mi fece              piangere quando me lo trovai davanti: Re di Puglia. Quel              "Presente" ripetuto              all'infinito mi risuonava in cento dialetti e suoni diversi              nella memoria e mi              stringeva il cuore… Così ho immaginato una asciuttezza              emozionale e simbolica              del "contenitore" che circondasse la realtà quotidiana e              spietata di quella              trincea un po' assopita, dove Boemi e Italiani si              scambiavano pagnotte e              sigarette in una stasi grigia, su una montagna a sua volta              grigia, e brulla,              silente. D'improvviso tutto cambia. 
                  I Croati              sostituiscono i              Boemi con ferocia guerriera e tattica inaspettata. Il dramma              si consuma              rapidamente… fino al soldato Maia che rifiuta di compiere              l'ispezione. Un              finale agghiacciante e potente, un'accusa eterna alla follia              dei potenti. 
                  Semplice e violento              atto              d'accusa universale che anche oggi è sulla bocca di chi              muore innocente, di chi              non può scegliere il senso del suo agire e dell'essere lì,              in quel momento. Per              rendere un sentimento e un'emozione così potente, ho chiesto              la collaborazione              di un artista, Giuseppe Salvatori, per la sua sensibilità              intellettuale e              l'eleganza del segno, e perché è capace, come me, di una              lacrima di pietà per              un piccolo soldato sopraffatto dagli eventi. Anche la              montagna, quindi, con le              sue vene dorate, partecipa al dolore e subisce la violenza              degli uomini. 
                  Mi sento a questo              punto di              ringraziare sinceramente tutti i collaboratori, da Franco              Micieli a Emiliana              Paoli, a tutti gli amici e i tecnici del teatro.
                  Mi auguro che              l'intenzione di              rendere protagonista il sentimento e l'emozione sia ciò che              arrivi al pubblico.              Perché resti nel cuore di tutti un unico sentimento: la              conquista della pace.              Per il mondo.
                  Simona                Marchini
                  NOTE SULLA              SCENOGRAFIA
                  Ho immaginato — ho              visto —              una scena di superfici in successione i cui profili dentati              costituiscono di              per sé un'invalicabilità, l'angoscia d'un orizzonte negato              alla consolazione              dell'occhio.
                  La visione vera di              un cielo              buio rovesciato con la doppia funzione di sipario e sudario,              ma anche bocca              crudele: ferita e feritoia insieme, nel racconto breve di              un'alba tragica.
                  Una scena dallo              spazio              interdetto ad ogni movimento, ad ogni speranza, quasi senza              narrazione, da qui              il profilo/muro della montagna che, come corpo offeso, è              percorsa e irrorata da              arterie aurifere: tracce di scavo della conquista di              postazioni preziose per              l'opera di difesa e attacco nel dominio delle altezze, ma              infine teatro di              sacrifici assurdi e inaccettabili.
                  Più sotto, scoperta,              la              trincea, in cui si aprono stanze come bocche di solitudine;              il perimetro nella              cui nudità si consuma il racconto d'un dramma universale: il              conflitto di              uomini semplici chiamati alla paura, la stessa che sembra              perpetuarsi nella              storia fino a noi e che qui si trasfigura nel luogo              umanissimo e disperato di              una trincea. Giuseppe Salvatori
        
       




